Intervista: Gory Blister

Nessuna Descrizione Era necessario per noi di Metalwave intervistare i Gory Blister a seguito di un mirabolante "1991.Bloodstained", un album che riesce a coniugare tanti stili e farli comunque suonare death metal, per un disco molto personale eppure violento. E ciononostante, i Gory Blister per qualche motivo restano un po' gli Anvil del death metal italiano. Ottimo curriculum e apprezzamenti dalla critica, ma di loro non si parla mai più di tanto. Dovevamo intervistarli e approfondire questi due aspetti della loro carriera. Buona lettura!

 

Bentornati, Gory Blister. "1991.Bloodstained" è il vostro nuovo album, e si discosta dal tecnicismo sfrenato di "The fifth fury" per proporre un death metal incredibilmente personale e che unisce molti stili per un mix assolutamente proprio. Parlateci della sua gestazione e realizzazione, avete carta bianca!

Joe: "1991.Bloodstained" è il nostro sesto album. Quando ti proponi di suonare un genere di musica stra-abusato, ma allo stesso tempo di restare originale e riconoscibile, dopo 5 album la sfida che hai di fronte è a dir poco proibitiva. Quante bands ad un certo punto “scappano”, per così dire, dal death metal cercando facile rifugio nella contaminazione spudorata con altri generi musicali, magari di più facile ascolto? Rarissimi sono i casi in cui gli ibridi possono considerarsi davvero riusciti (potrei citarti Swansong dei Carcass). Per quanto riguarda i Gory Blister, posso dirti che il nostro approccio è sempre quello di parlare molto prima di metterci a lavorare su un nuovo disco; cosa vogliamo ottenere, da dove partiamo, dove vogliamo arrivare musicalmente… cosa abbiamo dentro in quel dato momento delle nostre vite da mettere in musica… queste alcune delle domande che ci poniamo. Poi, semplicemente ci buttiamo nella nostra musica cercando, ognuno di noi, di tirar fuori le proprie emozioni. Questa volta volevamo la quadratura del cerchio, ovvero recuperare tutta la nostra storia e metterci in gioco con una line-up che non è mai stata così stabile. Poi, il procedimento è abbastanza standard, per noi; scriviamo la struttura base, proviamo dei ritornelli, registriamo un demo, modifichiamo tutto quello che non ci piace, cercando di non far mai calare l’intensità di un pezzo. Alla fine andiamo in studio con le tracce pronte, lavoriamo sui suoni e mixiamo. Un album dei Gory Blister vale almeno un anno di lavoro.

"1991.Bloodstained". Come mai avete scelto questo titolo per il nuovo album? Sembra un compendio delle vostre esperienze in musica, o sbaglio?

Joe: In parte ho già risposto sopra; volevamo chiudere il ciclo cominciato con “Art Bleeds”, tornando a quelle sonorità, ma spingendoci più avanti. Abbiamo quindi deciso di partire dal titolo. Anche se uscito nel 2001, “Art Bleeds” comincia la sua gestazione molti anni prima. I più attenti noteranno che molto dei nostri demo ci finisce dentro a vario titolo. Il 1991 è stato l’anno in cui abbiamo preso coscienza di ciò che facevamo ed il death metal era in una fase di grazia. Come non celebrare questa data? Ci siamo immaginati una specie di cubo maledetto e macchiato di tutto il sangue che abbiamo buttato nella musica in 28 anni di carriera. Ecco perché Bloodstained. Il punto, sta lì per sottolineare la contemporaneità… quando abbiamo iniziato internet non esisteva, dunque ora siamo una specie di Gory Blister 2.0.

Leviamoci un sassolino dalla scarpa: i Gory Blister sono un po' come gli Anvil nel metal classico: recensioni positive ovunque, applausi in generale, i primi due dischi che sono dei classici, eppure in qualche modo non si parla di voi così tanto. Cos'è successo secondo voi e come mai?

Joe: Difficile dirlo; intanto ti ringrazio per quello che considero un grande complimento. Un pizzico di sfortuna, quando la NOISE, con la firma del contratto ancora fresca falliva, troppi cambi di line-up, pochi soldi da investire nel pay-to-play (è un eufemismo), la fine del CD come format proprio quando uscivamo con Skymorphosys… nome bizzarro… ne possiamo trovare 1000 di “sassolini”. Ma sai che ti dico, siamo soddisfatti di quanto abbiamo prodotto, perché non abbiamo nulla da recriminare e chiunque ascolti un nostro disco non riesce a parlarne male neanche quando ci prova (con risultati a volte patetici).

Voi fate Death Metal dall'inizio degli anni 90. Com'è cambiato il panorama musicale in Italia durante tutti questi anni, specialmente se paragonato all'estero?

Paradossalmente, credo che col passare degli anni la scena estera e quella italiana si siano avvicinate parecchio. Se inizialmente molti paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti, erano molto avanti, la nostra scena ha fatto poi passi da gigante, soprattutto per quanto riguarda la validità delle bands, sia emergenti che storiche, mentre la scena estera si appiattiva sempre più, complice la scomparsa, a volte tragica, di alcuni capostipiti. Il vulnus, però, resta quello dei promoter e delle strutture per la musica dal vivo. Da questo punto di vista il gap non è mai stato colmato. Da noi i promoter stranieri dominano ed impongono i loro gruppi, mentre assistiamo al tramonto della musica dal vivo (parlo di death metal) nei piccoli club, sempre meno e sempre più fuori città. Prendi Milano, per esempio… qualche anno fa potevi vedere i Morbid Angel al Rainbow, i Napalm Death al Transilvania Live, gli Haunted al Rolling Stone ed i Neurosis al Binario Zero… ti ho appena nominato i primi quattro locali che mi sono venuti in mente, tutti nel cuore della città, che non esistono più.

Il vostro disco riesce in un'impresa quasi impossibile: tenere insieme svariate influenze e tecnicismi senza suonare autoreferenziale o fine a sé stesso. Qual è il limite tra questi due scenari, ovvero quand'è che secondo voi un brano fa schifo perché troppo poco personale e fa schifo perché è troppo tecnico?

Non credo esista un parametro oggettivo per questo tipo di distinzione. Quando scriviamo un brano cerchiamo di capire quali sono i momenti giusti in cui cercare un approccio più emozionale e quelli dove vale la pena “complicare le cose”; devi trovare un delicatissimo equilibrio fra questi due aspetti e tutto pensando al tipo di brano che stai portando avanti. Ecco, quando si sbagliano queste scelte si rischia di scrivere brani che funzionano poco. Devo dire che in questo, nella nostra storia, puoi riconoscere una certa evoluzione. La maturità è anche questa.

A volte i titoli del vostro ultimo album sembrano parlare di situazioni difficili di vita, come titoli tipo "The frailty of life" o "Mutable past" farebbero presupporre. Commentate questa mia osservazione.

Joe: Diciamo un mix fra influenze letterarie (palese Orwell in “Mutable Past”) e sensazioni basate sulla realtà che vediamo intorno a noi. L’atmosfera è piuttosto pessimistica; qualche anno fa ho perso due cari amici e quando cominci a sentire che la morte ti cammina a fianco (the frailty of life… la fragilità della vita, è che non sai cosa c’è dopo) non puoi che pensare che se si chiama death metal… ci sarà un motivo.

Ammettiamo anche un'altra cosa: non siete più ventenni, e l'entusiasmo degli inizi è passato. Cosa sprona ancora i Gory Blister ad andare avanti?

Joe: La voglia di fare musica, pura e semplice. C’è un solo modo per sopportare una quotidianità in cui tutto ti sembra cinico e sbagliato… suonare ed esprimere tutto il tuo dissenso.

Quali sono state le migliori soddisfazioni che avete avuto durante la vostra carriera, sia da studio che da live?

Joe: Per quanto riguarda la produzione in studio non saprei scegliere. Ogni volta che vedi e senti nascere i nuovi brani è un’esperienza nuova ed emozionante. Inoltre, ogni volta che entri in studio impari qualcosa di nuovo e tutto questo è semplicemente fantastico. Dal vivo, sicuramente il tour europeo con i Sadus, quello in cui Steve Di Giorgio il primo giorno mi disse che quando gli consegnai il nostro secondo demo nel 93 (a Firenze) gli dissi una cosa… ed io non me la ricordavo… mi tenne sulle spine per un mese… poi l’ultimo giorno mi rivelò che io gli avevo detto che noi eravamo tipo i Sadus italiani… la cosa lo colpì parecchio e quando seppe che potevamo essere noi la terza band del tour (la seconda erano i mitici Darkane), insistette perché voleva continuare quel discorso. Parlammo un sacco durante quel tour, anche, molto, dei Death; un’esperienza irripetibile.

Come mai la scelta temeraria di proporre una cover di "Damage Inc" nel vostro disco? Era proprio necessario includerla e non riproporla solo da live?

Joe: In realtà era una vecchia idea che poi si è trasformata in una sfida suggestiva. Durante i lavori per il nuovo album, siamo entrati in contatto col mitico Jon Zazula, l’uomo che “scoprì” i Metallica. Jon voleva ascoltare le nostre pre-produzioni e ci dava continuamente consigli. Poi nacque l’idea di una cover dei Metallica. Era curioso di sentire come sarebbe venuta fuori da un gruppo come il nostro. Da tempo avevamo pensato ad una cover di un brano storico di Hetfield e soci, ma non volevamo uno dei soliti brani che tutti ripropongono. Così abbiamo tirato fuori Damage… e l’abbiamo fatta alla Gory Blister.

Ultime parole famose e progetti futuri...

Ultimamente siamo stati in Calabria a suonare ed abbiamo avuto segnali molto positivi. Il sud Italia è ancora metal, nell’attitudine e per quanto riguarda le nuove generazioni. Contiamo sul fatto che questo genere di musica abbia ancora molto da dire e che tanti ragazzi vogliano ascoltare. Non so quanto i Gory Blister potranno ancora produrre dischi, viviamo alla giornata, sperando di suonare nei contesti giusti, ma tutto quello che faremo, lo faremo col massimo della passione.

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Intervista di Snarl Articolo letto 1668 volte.

 


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